Lo Staff
Assessore alla Cultura: Dott. Filippo Ferrari
Direttore: Dott. Maria Bernabò Brea
Orari di apertura
Invernale
Martedì-mercoledì: 9.00-12.30
Giovedì-venerdì: 15.00-16.30
Sabato: 9.00-12.30 e 15.00-17.30
Estivo
Mercoledì-giovedì: 9.00-12.30
Martedì-venerdì: 16.00-19.00
Sabato 9.00-12.30 e 17.00-19.00
Servizi ai visitatori:
- Visite guidate per le scolaresche di ogni ordine e grado, su prenotazione
- Laboratori sperimentali di manipolazione della creta e tessitura per le scuole materne, elementari e medie inferiori
- Sala proiezione e sala video per la visione di documentari a tema;
- Sala per le attività didattiche
- Pubblicazioni in consultazione e in vendita
- Parcheggio
- Accesso disabili
Le ricerche nella terramara di S.Rosa a Fodico
Nel 1983 alcuni lavori agricoli effettuati a Fodico di Poviglio, nella proprietà denominata S.Rosa, hanno pesantemente intaccato gli strati antropici di un abitato terramaricolo. Nell'estate successiva (1984) si è aperta la prima campagna di scavo nell'area e nel giro di pochi anni la terramara di S.Rosa è divenuta il fulcro di un grande progetto di ricerca portato avanti dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici dell'Emilia Romagna e dall'Università degli Studi di Milano (Dipartimento di Scienze della Terra), con la fondamentale collaborazione del Comune di Poviglio e di Coopsette. Le ricerche, notevole esempio di studio multidisciplinare che prevede il lavoro congiunto di diversi specialisti, mirano alla ricostruzione dei numerosi aspetti (ambientali, economici, strutturali, produttivi) che caratterizzavano la vita del sito.
Per i primi anni di indagine (1984-1986) si è creduto che la terramara, citata pochi anni prima da J.Tirabassi, nel suo Catasto sui siti dell'età del Bronzo del Reggiano, come "la Mandria", si fosse "salvata" dallo sfruttamento agricolo ottocentesco, ma il procedere delle ricerche ha ben presto dimostrato (nel 1987 sono stati rinvenuti durante lo scavo oggetti databili al 1800) trattarsi dell'antica terramara di "Fodico", ampiamente utilizzata dai cavatori nel corso del XIX secolo e purtroppo pesantemente danneggiata nella sua parte centrale.
Il sito è ancora oggi perfettamente visibile in foto aerea e sul terreno: un'area più o meno centrale di forma subquadrangolare, estesa circa un ettaro e delimitata da un'ampia fascia di terreno giallo (un terrapieno perimetrale), corrisponde al cosiddetto "villaggio piccolo", primo nucleo insediativo, mentre un altro terrapieno con andamento ad U (l'erosione ha cancellato il lato superiore) definisce il "villaggio grande", organizzato circa un secolo dopo su un'area complessiva di quasi sette ettari.
Tra 1987 e 1990 (con un completamento nel 1992) le ricerche si sono concentrate nel cosiddetto "villaggio piccolo", quello più intaccato dalla cava ottocentesca.
Nell'ampia porzione scavata, pochissimi erano i lembi di stratigrafia conservati, ma al tetto del substrato sterile sono stati individuati decine di pozzetti, di forma e funzione diversificata, e circa 3000 buchi di palo, ricollegabili alle abitazioni. Queste erano costruite su impalcato ligneo o direttamente sul terreno e le migliaia di buchi di palo dimostrano che, nel corso della vita del villaggio, frequenti sono state ristrutturazioni e ricostruzioni. L'abitato, vasto circa un ettaro, era impiantato su un paleoalveo di Po e circondato inizialmente da una palizzata lignea; sulla base dei materiali rinvenuti (prevalentemente ceramici), la sua origine viene collocata tra la fine del XVI e gli inizi del XV sec.a.C..
Dopo l'estendersi dell'insediamento e la nascita del "villaggio grande", la palizzata lignea è stata sostituita da un imponente terrapieno; la frequentazione del nucleo originario è dunque sicuramente continuata, ma le estrazioni ottocentesche di marna hanno distrutto pressoché completamente gli strati corrispondenti alle fasi più avanzate della sua vita.
Il villaggio grande, ampio circa 5 ettari, è stato organizzato, nel corso del XIV sec.a.C. (fine del Bronzo medio – inizi del Bronzo recente), su un dosso naturalmente soprelevato posto a Sud del primo nucleo abitato. Le ricerche avviate nel 1991 nella parte Sud-Ovest dell'insediamento hanno interessato nel corso di questi anni sia l'area interna destinata alle abitazioni, sia le imponenti strutture perimetrali, fino a raggiungere l'antico piano di campagna a destinazione agraria esterno all'abitato.
Le strutture di recinzione del "villaggio grande" sfruttavano la morfologia naturale (ad esempio il pendio definito dal dosso stesso) ed erano costituite da un fossato più esterno in cui non scorreva acqua, da una palizzata posta alla base del dosso e parallela ad un fossatello scavato nel punto più profondo del fossato principale e da un'altra palizzata al margine del villaggio. La palizzata più interna era interrotta da due porte, poste in corrispondenza di strade che, orientate all'incirca Nord-Ovest – Sud-Est, suddividevano l'interno del villaggio.
In questa prima fase di frequentazione le abitazioni erano innalzate su un impalcato ligneo, con una struttura dunque analoga ad una palafitta, ma l'area sottostante, come dimostrano le analisi effettuate, era asciutta. Dall'impalcato su cui sorgevano le abitazioni venivano gettati al di sotto vari tipi di rifiuti (quali cenere derivata dalla pulizia dei focolari, resti di pasti, ceramica) che formando spesso veri e propri cumuli di varia composizione, hanno determinato una successione di strati fortemente ondulati.
Numerosi pozzi, ampi e profondi, che attingevano acqua da uno strato di sabbia, sede di una falda acquifera si distribuivano nei pressi della palizzata più interna; da alcuni di essi partivano canalette che convogliavano l'acqua verso il fossato e verso altri pozzi, scavati all'interno del fossato stesso, che non disponevano di acqua di falda. L'insieme di queste strutture costituiva un complesso sistema idraulico, destinato forse a distribuire acqua alle campagne circostanti il villaggio.
Nel corso del Bronzo recente, l'intero abitato è stato sottoposto ad una ristrutturazione: i pozzi sopra citati sono stati chiusi e sigillati dalla costruzione di un terrapieno (ampio circa 10 metri e caratterizzato da una scarsa elevazione), che probabilmente non è mai stato ultimato. Le ondulazioni create dagli scarichi del primo villaggio grande sono state livellate con riporti di terreno e, al di sopra, sono state impiantate le nuove capanne: queste non erano più impostate su impalcato ligneo, ma con ogni probabilità costruite su fondazioni a travi orizzontali (che non richiedono pali verticali solidamente piantati), dotate di un pavimento ligneo leggermente rialzato da terra e con dimensioni da medie a grandi (da 50 a 150 mq). All'incirca in questo periodo, alla base del fossato che delimitava l'insediamento, sono stati scavati numerosi pozzi, forse alla ricerca di nuove falde acquifere.
Agli inizi del XII sec.a.C., poco tempo dopo questa imponente ristrutturazione, il villaggio è stato abbandonato. La stessa sorte è toccata nel giro di un breve arco di tempo a tutti gli altri siti terramaricoli emiliani e la pianura si è ritrovata, dopo alcuni secoli caratterizzati da una densità demografica eccezionale per il periodo preistorico, spopolata. Ancora ignote sono le ragioni della scomparsa della cultura terramaricola, di volta in volta attribuita a fattori politici (in quest'epoca grandi rivolgimenti interessano tutta l'area mediterranea) o a fattori economico-produttivi, quali una crisi delle risorse idriche eventualmente associata ad un progressivo esaurirsi della capacità produttiva dei terreni.
Nel 2000 infine la, la pulizia a scopo agricolo di un fosso posto all'esterno dell'abitato (più precisamente alcune centinaia di metri Sud-Est) ha messo in luce alcune ossa combuste e alcuni frammenti ceramici databili all'età del Bronzo: una serie di trincee e saggi di scavo, effettuati tra 2001 e 2002, hanno consentito di localizzare la necropoli (o una delle necropoli) della terramara. L'area, disturbata da canalette irrigue sia di età romana che più antiche, è sepolta dalle alluvioni medioevali.
I sondaggi effettuati hanno recuperato tre urne, deposte in fosse poco profonde, che contenevano resti ossei carbonizzati e in alcuni casi vasi di accompagnamento; ossa carbonizzate erano poi presenti in altre buche circolari, eventualmente associate, oltre che al terreno organico, a pochi frammenti ceramici, forse da interpretare come i resti dei cinerari e del loro contenuto distrutti nel tempo; in altri casi ancora sono stati rinvenuti, all'interno delle buche stesse, resti di fauna associati o meno a frammenti ceramici.
Lo scarso numero di cinerari rinvenuti farebbe pensare ad un settore periferico della necropoli o più probabilmente ad un'area funeraria con caratteristiche particolari, che le conoscenze attuali non consentono di definire con sicurezza; avvalorerebbe questa seconda ipotesi il rinvenimento, in una buca di forma analoga a quelle dei cinerari, di un frammento di cranio umano (privo di mandibola e di calotta) in deposizione secondaria.
Bibliografia
BERNABO' BREA M., CARDARELLI A., CREMASCHI M. (a cura di) Le terramare. La più antica civiltà padana, catalogo della mostra, Electa, Milano, 1997.
BERNABO' BREA M.A., CREMASCHI M. (a cura di) Il villaggio piccolo della terramara di Santa Rosa di Poviglio. Scavi 1987-1992, collana ORIGINES Studi e materiali dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, 2004.
Pubblicazioni
Carta archeologica del comune di poviglio
A cura di Gianluca Bottazzi, Lorenza Bronzoni, Angela Mutti – 1995
Gli scavi nella terramara santa rosa a fodico
Di Poviglio – guida all’esposizione a cura di Maria Bernabò Brea, Lorenza Bronzoni, Mauro Cremaschi, Silvio Costa
Il museo della terramara santa rosa a fodico
Di Poviglio - quaderno didattico 2001
La terramara Santa Rosa a Fodico di Poviglio (RE)
Di Maria Bernabò Brea e Carla Mori – 1997 ristampa 2001 con Abstract in lingua straniera
Il villaggio dei cavallini – cd-rom
La terramara Santa Rosa – videocassetta
Il villagio piccolo della terramara s.rosa - Scavi 1987/1992
Poviglio - Museo della Terramara di Santa Rosa